19 aprile 2024
Aggiornato 16:00
Prodotti eccellenti

Ricordarsi il vero sapore della Pitina

Tra i molti prodotti nati dalla civiltà contadina, dalla caccia o dall'allevamento, ritroviamo con piacere questa autentica rarità tipica delle zone pedemontane del Friuli

PORDENONE - I produttori ormai si contano sulle dita di una mano sola, e forse non servono neppure tutte le falangi per completarne l'elenco. Lassù, nella zona pedemontana della provincia di Pordenone, dove a partire da settembre si iniziava a produrre questo originalissimo insaccato. Mai in estate, perché in quel periodo la pastorizia sposta ovviamente le greggi sui pascoli estivi.

LE ORIGINI - La motivazione storica è sempre più o meno la solita, e cioè quella di conservare al meglio le preziose carni in un'epoca dove le proteine animali erano prioritarie per valore concettuale e nutritivo. Dove? in zone tradizionalmente povere, come quelle delle valli a nord di Pordenone, dove se si uccideva in una battuta di caccia un camoscio o un capriolo, oppure se ci si rendeva conto del ferimento di una pecora o una di capra si doveva trovare il modo di non sprecare nulla. Da queste esigenze di conservazione delle carni nacquero la pitina e le sue varianti peta e petuccia, che differivano dalla pitina per le diverse erbe aromatiche aggiunte nell’impasto e, nel caso della peta, per le dimensioni più grandi.

LA LAVORAZIONE - Dopo l'abbattimento, l’animale veniva disossato e la carne triturata finemente nella pestadora (un ceppo di legno incavato). Alla carne si aggiungevano sale, aglio, pepe nero spezzettato, tutto ciò prima di formare con la carne macinata delle piccole polpette che in seguito si passavano nella farina di mais e si facevano affumicare sulla mensola del fogher. La pitina, col passar del tempo, si asciugava e per consumarla occorreva ammorbidirla nel brodo di polenta.

LA MODERNA RICETTA - Lontani dai gusti di un tempo, che forse erano un po' troppo intensi per i palati di oggi, la pitina è stata  aggraziata nel suo impasto dall'inserimento di una parte di grasso di suino che smorza il sapore intenso e un po’ selvatico della carne di capriolo, capra o pecora. L’affumicatura si realizza con diversi legni aromatici, a volte mescolati tra loro, con la prevalenza del faggio.

COME GUSTARLA - Come consigliato anche nel sito web di Slow Food, perché la Pitina è un prodotto protetto dalla Fondazione SF, la pitina oggi si mangia cruda tagliata finemente, dopo almeno 30 giorni di stagionatura, ma è ottima anche cotta. Può essere scottata nell’aceto e servita con la polenta, oppure rosolata nel burro e cipolla e in seguito aggiunta nel minestrone di patate, o ancora fatta al cao, cioè cotta nel latte di vacca appena munto. I produttori rimasti sono elencati nella pagina web dedicata. Un buon motivo per riscoprire anche questa rarità gastronomica italiana.