20 aprile 2024
Aggiornato 15:00
La rinascita del popolo dopo l'Orcolat

6 maggio 1976: la sera in cui in Friuli tutto cambiò

Alle 21.06 di quarant'anni fa la terra tremò, provocando quasi mille vittime e distruggendo 20 mila case. Mattarella nei luoghi simboli della ricostruzione, Gemona e Venzone, per celebrare il 'modello Friuli'

UDINE – Provate a chiedere a un friulano nato prima del 1976 dove si trovava la sera del 6 maggio. In pochi istanti sarete pervasi da ricordi, emozioni, aneddoti. Nessuno ha dimenticato, anche chi quel catastrofico evento l’ha sentito solo raccontare perché troppo piccolo per ricordarselo direttamente, l’ha tenuto dentro, l’ha tramandato a sua volta. Il sisma del 1976, per un friulano, è uno spartiacque: quando si racconta la propria vita c’è sempre un ‘prima’ e un ‘dopo’ terremoto. Quella scossa del nono grado della scala Mercalli, avvertita alle 21.06 del 6 maggio di quarant’anni fa, non ha cambiato solo la vita di migliaia di famiglie (989 furono i morti, 40 mila gli sfollati, 20 mila le abitazioni distrutte), ma il destino di un’intera regione: il Friuli, da terra arcaica e agricola, ha saputo rialzarsi e diventare più moderna, più forte, più industrializzata. Non è stato facile. Soprattutto perché proprio quando tutto sembrava essere alle spalle, a settembre, l’11 e il 15, altre due scosse violentissime fecero tornare a galla le antiche paure. Ma il friulano, si sa, non molla. Non piange e si rimette subito a lavorare. Soffre, ma si tiene tutto dentro, e lavora, lavora, lavora.

Prima le fabbriche, poi le case...
In poco più di un decennio il Friuli è stato ricostruito, al motto di ‘prima le fabbriche, poi le case e le chiese’. L’Orcolat, l’orco che nella tradizione friulana fa tremare la terra, è tornato quasi ogni notte nelle menti chi quel 6 maggio si trovava in uno dei comuni colpiti, ma non ha impedito alle genti friulane di andare avanti, di guardare al futuro, di ricominciare a vivere.
La ricostruzione del Friuli è diventata esempio nazionale, grazie a quel ‘modello Friuli’ basato sulla fiducia, sull’autonomia, sulla delega dallo Stato alla Regione, e da quest’ultima ai sindaci, veri protagonisti della rinascita. Una rinascita resa possibile anche dal volontariato e dallo spirito di sacrificio: in tanti diedero una mano in quelle tragiche ore del 6 maggio. In primis l’Esercito, poi i Vigili del Fuoco, le forze dell’ordine, la Chiesa e molti altri. Un’esperienza sul campo che servì, qualche anno dopo il 1976, per far nascere la Protezione civile che, ancora oggi, vede il Friuli Venezia Giulia primeggiare a livello nazionale in questo campo.

Mattarella celebra il 'modello Friuli'
Nelle ore successive al terremoto in Friuli arrivarono politici e rappresentanti di governo: Leone, Moro, Cossiga per citarne solo alcuni. Tanti arrivarono anche dall’estero, tutti con un aiuto per le popolazioni terremotate. E con un pizzico di ammirazione verso chi, in quei giorni difficili, seppe gestire al meglio l’emergenza: il presidente della Regione Comelli, il commissario Zamberletti, i tanti sindaci dei comuni colpiti. Oggi, a distanza di 40 anni, due delle cittadine rase al suolo dal sisma, Gemona e Venzone, saranno al centro della visita del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che simbolicamente ringrazierà il popolo friulano per aver saputo superare quel 6 maggio con dignità, onestà e compostezza, facendo onore all’Italia. Tutto o quasi, fu ricostruito dov’era prima del terremoto, evitando così di snaturare paesi e comunità. Lo Stato, certamente, diede una mano determinante, riversando sul Friuli qualcosa come 18 miliardi di euro, ma le genti terremotate non aspettarono gli aiuti, ma cominciarono subito a lavorare. Il celebre ‘fasin di bessoi’, facciamo da soli, descrive al meglio la voglia e la determinazione di questo popolo, ferito dal sisma, costretto a sfollare nelle località della costa, ma capace di rialzarsi e di tornare nelle proprie case. Un popolo generoso, che ringrazia e non dimentica.

Il Friuli resiste, ma soffre
Oggi il Friuli è una terra molto diversa da quella del 1976. Il progresso ha portato i suoi vantaggi, ha fatto nascere l’Università di Udine, mettendo a rischio però tradizioni e usanze legate al mondo rurale. Molti borghi sono spariti, cancellati dallo spopolamento e dalle migrazioni, la montagna soffre per la mancanza di lavoro e l’autonomia pare essere ogni giorno sempre più minacciata dalla politica governativa. Però il Friuli resiste: l’ha fatto per millenni, con i celti, con i romani, con gli unni, con i veneziani, con gli austriaci, con i francesi, con i cosacchi, con i tedeschi. Lo farà ancora, mantenendo quelle caratteristiche di onestà, di laboriosità e di caparbietà che hanno portato la sua gente a farsi rispettare e a farsi voler bene in tutto il mondo.