20 aprile 2024
Aggiornato 04:30
L'appuntamento

Aldo Moro: silenzi e depistaggi lunghi 38 anni

A Udine ne ha parlato Gero Grassi, componente della Commissione d'inchiesta sul caso Moro. "La verità è nota al 90%. Non credo sarà possibile andare oltre"

UDINE – Dopo 38 anni la morte di Aldo Moro resta ancora avvolta nel mistero, coperta, con tutta probabilità, da quella ‘ragion di Stato’ che ha fatto del nostro Paese un luogo di segreti e casi mai chiariti. Tutti sanno che l’ex leader della Democrazia Cristiana fu rapito e ucciso dalle Brigate Rosse. Più difficile chiarire chi fu il mandante, chi tentò di depistare le indagini, chi si intromise per insabbiare la verità.
A parlarne, qualche giorno fa a Udine, è stato il deputato, nonché vicepresidente del gruppo Pd alla Camera dei Deputati e componente della Commissione d'inchiesta sul caso Moro, Gero Grassi, introdotto dal segretario cittadino del Partito Democratico, Enrico Leoncini.

Grassi, è stato detto tutto sul sequestro di Aldo Moro?
«La verità che ci è stata comunicata, cioè che le Brigate Rosse hanno rapito e ucciso Aldo Moro, non è del tutto realistica. Perché accanto alle Br ci sono state omissioni della magistratura, azioni e omissioni delle forze dell’ordine, partecipazione di soggetti stranieri come la Cia, il Kgb, il Mossad, i palestinesi, i servizi segreti deviati, pezzi di classe politica italiana che non hanno fatto quello che dovevano fare».

Perché è accaduto tutto questo?
«Lo Stato ha ‘chiuso’ Moro nella Renault 4 e non vuole che se ne parli. L’attuale commissione parlamentare è al 90% della verità. Tenga presente che siamo partiti dal 10%. Non lo so se si potrà fare di più. Però siamo già a un punto che non avremmo mai immaginato».

Ci spieghi la ragione di così tanti misteri
«Non conviene a nessuno che se ne parli, ci sono troppe aberrazioni e troppi misteri che coinvolgono trasversalmente non solo l’Italia. E quindi conviene dire che le Brigate Rosse lo hanno ucciso e finisce là».

E il fatto che abbiate definito il 90% della verità, che cosa determina?
«Non siamo alla ricerca di carcere per gli imputati, perché sono passati 40 anni, ma abbiamo il problema di dire la verità storica. Perché la verità storica fa bene al Paese e soprattutto evita che in futuro ci siano momenti di opacità come questo. Quindi la verità sul caso Moro comporta maggiore libertà, maggiore sicurezza, maggiore certezza del diritto. Non si tratta di individuare dei colpevoli, ma di ridare dignità a una persona che è stata uccisa ingiustamente per un processo politico interrotto, che ha portato l’Italia in queste condizioni».

La commissione parlamentare cosa fa?
«Si comporta come la magistratura, fa gli interrogatori dei protagonisti, positivi o negativi, fa le indagini. Tutto questo fa emergere una verità, non solo raccontata, ma che deriva dagli atti, che noi siamo riusciti ad avere, anche perché, con la desecretazione voluta dal Governi Renzi di documenti ancora coperti dal segreto di Stato, è stato possibile far emergere molte verità».

Quali sono i tasselli che ancora mancano?
«La ricostruzione dell’evento del 16 marzo c'è. Noi sappiamo chi c’era in via Caetani e perché è avvenuto il fatto. Sappiamo anche ciò che non è stato fatto. Conosciamo le omissioni del governo, conosciamo l'intervento degli Stati esteri. Ormai il quadro è abbondantemente chiaro anche per quello che non ci è dato sapere. Abbiamo fatto 362 incontri in meno di tre anni sul caso Moro: ciò sta a testimoniare quanta sete di verità ha questo Paese».