19 aprile 2024
Aggiornato 20:30
Mani pulite

25 anni fa scoppiava Tangentopoli: anche il Friuli coinvolto

L'analisi dell'avvocato Ponti, che ricorda come dopo l'arresto di Benvenuti (poi assolto) “per una sorta di effetto emulazione, tutti si recavano dai pm a parlare”

UDINE - 17 febbraio 1992. A Milano Mario Chiesa finisce in manette. Il suo arresto dà la stura alla stagione che di lì a poche settimane sarà battezzata come ‘tangentopoli’. E’ uno dei periodi più drammatici del dopoguerra che porterà in carcere migliaia di persone tra politici e imprenditori, che porrà fine alla cosiddetta ‘Prima repubblica’. Che manderà al macero un’intera classe politica, senza averla mai rimpiazzata con figure dello stesso spessore.

Benvenuti la prima ’vittima’ di Mani pulite
Mario Chiesa in Italia; Ivano Benvenuti in Friuli. Fu l’ex sindaco di Gemona la prima vittima della Tangentopoli in salsa friulana. E, come ricorda oggi Luca Ponti, uno dei legali protagonisti di quella stagione, fu successivamente assolto perché il fatto non sussisteva. L’arresto di Benvenuti determinò l’avvio della Tangentopoli friulana che – come ricorda ancora l’avvocato Ponti – si allargò a macchia di leopardo «per una sorta di effetto emulazione, per cui tutti si recavano dai pm a parlare». «In quegli anni – insiste Ponti, che non si addentra in valutazioni di carattere né politico né tanti meno morale - i reati perseguiti erano la concussione e la corruzione. Il primo era ascrivibile a un comportamento del pubblico ufficiale che induceva oppure obbligava l’imprenditore ad accettare di essere corrotto. Nel secondo caso, invece, il rapporto tra pubblico ufficiale e imprenditore era per così dire paritetico. Succedeva così che appena qualche imprenditore captava qualche segnale negativo nei suoi confronti, si recava dai magistrati lamentandosi di essere vittima di tentativo di corruzione e così facendo tentava di apparire come vittima, scaricando ogni responsabilità sul politico».
Secondo Ponti il fenomeno Tangentopoli va contestualizzato in anni in cui c‘erano personalità politiche di grande spessore, in grado quindi di imporre regole e strategie e di ingenerare dubbi sul loro comportamento e sul confine tra lecito e illecito. «E’ stata la legge Bassanini a modificare l’approccio a queste tipologie di reato – insiste Ponti – perché ha investito l’apparato burocratico di compiti e competenze che prima era retaggio dei soli politici».

Difficile fare un confronto con ciò che accade oggi
Questi ultimi sono stati così sgravati da incombenze che li hanno messi al riparo da molti ‘pericoli giuridici’. Il vero cambio di rotta del fenomeno corruttivo sta dunque in questo cambio di marcia e in questa nuova condivisione di responsabilità dirette da parte dei funzionari apicali della pubblica amministrazione. Anche per questo – fa intendere Ponti – non è né facile né immediato tentare una comparazione tra quanto accadeva negli anni di Tangentopoli e gli attuali, proprio perché è mutato il quadro di riferimento giurisprudenziale proprio perché il reato dell’eventuale corruzione investe più il burocrate che il politico. Senza contare tutta l’attività anti-corruzione messa in atto dallo Stato dopo la stagione manettara. Un esempio su tutti è la figura del pubblico dipendente chiamato a denunciare, restando anonimo, eventuali reati. Una figura tanto ‘strana’ quanto nuova, un potenziale delatore de factu il cui ruolo non è però mai decollato.

L’incognita del lobbysta
Ma altri cambiamenti sono intervenuti. Basterebbe citare la nuova norma sulla concussione indebita (non ti costringo ma ti induco a…) e altre normative che tendono ad adeguare quella italiana alla disciplina comunitaria. E qui, secondo Ponti, si apre un altro capitolo tutto ancora da scrivere. «Pensiamo – argomenta ad esempio Ponti - alla figura del lobbysta riconosciuta da diversi stati europei e la cui attività di favorire relazioni, creando situazioni favorevoli che spesso hanno come interlocutori politici e imprenditori e che in Italia non è prevista».
La globalizzazione ha creato anche questo. Disparità di vedute e di interpretazioni giuridiche spesso nettamente in contrasto e bisognose di interventi in grado di uniformare l quadro giuridico tra Paesi partner.
Difficile dunque immaginare come sarà la lotta alla corruzione da qui in avanti. Gli unici dato certi sono il coinvolgimento sempre più pressante dei funzionari a discapito dei politici e un quadro normativo che va ricalibrato e riveduto in una visione più amia che nel caso italiano non può tenere conto di quanto avviene in moltissimi altri Paesi, anche extra Ue dove il concetto di lecito e illecito può essere stravolto da altre consuetudini e normative. (d.pe.)