29 marzo 2024
Aggiornato 09:30
3 anni in giro per il mondo

Dal Friuli fino all’America passando per l’Oceania, l’Africa e il Sud Est asiatico

Sembra l’utopistico viaggio descritto dalla famosa canzone di Giusy Ferreri e Baby K ‘Roma-Bangkok’ e invece è tutto reale, da un capo all’altro del mondo partendo dall’Europa attraverso quattro continenti per un arricchimento interiore

UDINE – Potrebbe sembrare una storia comune a tante altre ma non lo è. Quella di Marco Concina, ventottenne friulano di Corno di Rosazzo, è del tutto singolare; per lo meno nel suo percorso. Dopo aver conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza nel 2013 Marco ha deciso di fare le valigie e di andare a ‘cercar fortuna’ altrove. Un grande amico in Australia, 1.500 euro alla mano, uno zaino sulle spalle e si parte. Da allora la sua vita si è divisa tra lavoro e viaggio, più di tre anni di avventure prima di rientrare ‘a casa’ con un bagaglio ricco di esperienze e di emozioni.

La partenza per l'Australia
Le premesse sono pressochè identiche a quelle di tanti altri ragazzi che cercano di costruirsi un futuro trasferendosi, ma quella che stiamo per raccontarvi non è stata solamente un’esperienza di lavoro o un viaggio di piacere, ma una vera e propria esperienza di vita. Un viaggio nelle culture, nei popoli, nelle vite degli altri, nelle realtà che a volte possono anche essere crude e di sofferenza.
Marco parte per l’Australia immediatamente dopo la laurea. Trova subito lavoro, anzi, molti lavori. «L’Australia offre grandi opportunità. Se conosci un po’ l’inglese e sei determinato a ottenere un impiego è quasi impossibile non trovarlo. Se hai forza di volontà e sei concentrato su un obiettivo, hai tutto da guadagnare», dice. Con il Working Holiday Visa inizialmente lavora nel settore hospitality (hotel, bar e ristoranti) come cameriere. Non era il sogno della sua vita fare questo tipo di lavoro ma spiega: «Tutti dovrebbero fare almeno una volta un’esperienza così. Capisci che tutti i lavori sono nobili e impari a non svalutare mai quello che fanno gli altri. Questo mi è servito come insegnamento».
Poi, una volta migliorata la competenza linguistica, passa al settore immobiliare come junior property consultant, svolgendo un’attività più confacente ai suoi interessi. Una volta fatta sufficiente esperienza, decide di seguire il sogno che l’ha spinto a partire dal Friuli: vedere ‘un pezzo di mondo’. Nel giro di 5 mesi, da solo, visita atolli sperduti delle Isole Fiji, fa attività adrenaliniche, come tandem skydiving, bungee jumping, swing jumping e rafting in Nuova Zelanda, gira tutta l’Australia e il Sud Est asiatico su moto, bus e con qualche volo aereo, colpito non solo dalla bellezza paesaggistica dei due continenti. Eh sì perché il vero motivo del suo girovagare è un altro: vedere con i suoi occhi le cose che succedono nel mondo, ‘toccare con mano la realtà’ che ha visto da casa nei servizi televisivi.

Inizia il viaggio nel Sud Est asiatico
Inizia il suo ‘viaggio’. Indonesia, Singapore, Malesia, Thailandia, Myanmar, Laos, Vietnam e Cambogia. Tutti Paesi meravigliosi e ricchi di bellezze naturali, di cultura e di arte, ma anche caratterizzati da alcune realtà di degrado morale e sociale, come, per esempio, in Thailandia, la città di Pattaya. In Cambogia fuori dalla capitale Phnom Pehn vede i campi di sterminio, dove negli anni ’70 dopo la Guerra civile Cambogiana e con l’avvento del regime comunista di Pol Pot avvennero massacri di massa; il simbolo che racconta queste vicende è un albero ‘The Killing Tree’ che porta i segni della morte dei bambini, strappati dalle braccia delle loro madri e uccisi barbaramente a suon di percosse contro il tronco.
Ad accompagnare le sue avventure un cellulare, una GoPro, una piccola macchina fotografica e tantissime schede usb. Marco è diventato un ‘backpacker’(chi viaggia in modo economico con lo zaino in spalla), spostandosi con ogni mezzo, pernottando negli ostelli, facendo gruppo talvolta con le persone che ha incontrato ‘lungo la strada’.

Verso casa in attesa del Canada
Durante il viaggio di rientro in Italia, si ferma a Dubai per qualche giorno e fa un’esperienza affascinante ed indimenticabile: si immerge con le bombole di ossigeno nell’acquario del Dubai Mall a contatto diretto con una ventina di squali, avendo conseguito in Koh Tao (Thailandia) il brevetto Padi di subacqueo fino a 40 metri di profondità.
Dopo un anno e mezzo non fa in tempo a tornare a casa che dopo un solo mese è già ora di ripartire. In attesa di ottenere il Working Holiday per il Canada va a lavorare e a visitare Spagna e Marocco; percorre una piccola zona del Sahara sulle gobbe di un cammello, dorme in una tenda berbera, 'si perde' nella labirintica medina di Fès e, attraverso un contatto locale, vede la realtà di un barrio difficile tra Spagna e Marocco, El Principe di Ceuta. Poi ottiene il visto e parte per Toronto e lì si ferma per lavorare per alcuni mesi in una corporation, in qualità di commerciale. È la prima volta che vive in una città così grande e di così grande esempio di integrazione «lì nessuno è straniero, a nessuno interessa se parli perfettamente la lingua oppure no. La maggior parte delle persone dimostra disponibilità ed accoglienza nei tuoi confronti». Passati circa 8 mesi decide che è giunta l’ora di darsi nuovamente all’avventura, da un giorno all’altro decide di partire per altrettanti 8 mesi attraverso le Americhe.

Una nuova avventura verso il Centro America
Dal Canada (dopo Toronto vede Ottawa e Montréal) si sposta negli Stati Uniti (e fa un Road Trip tra Niagara Falls, Buffalo, Cleveland, Chicago, Detroit, New York e Miami) per poi attraversare il Messico, da Messico City fino a Cancùn, incuriosito dalle realtà contrastanti che caratterizzano il Paese; continua recandosi a Cuba, dove ha la sensazione di tornare indietro nel tempo; poi in Belize (Belize City e CayeCaulker) visitando alcune isole paradisiache nel Mar dei Caraibi. Da qui giunge nel cosiddetto 'Triangolo della Morte', costituito da Guatemala, El Salvador e Honduras, una delle zone con il più alto tasso di omicidi del mondo e quella che lo ha segnato maggiormente. Anni fa era rimasto colpito da un documentario che parlava del fenomeno 'maras' (organizzazioni transnazionali di bande criminali associate diffusasi nel centro America responsabili di scambio droga, armi, estorsione, rapine, sequestri e omicidi) e in particolare riguardo alle due principali gangs rivali, la Mara Salvatrucha (MS-13) e la Mara 18; «la vita in questi Paesi è condizionata da questo triste fenomeno, è il cancro della loro società. Non esiste solo la bella vita, purtroppo ci sono anche situazioni terribili. Se vuoi conoscere veramente un Paese, devi vederne anche gli aspetti negativi», racconta. E’ per questo che tramite contatti locali riesce a visitare nel quartiere Apopa di San Salvador un carcere provvisorio, ‘bartolina’, luogo in cui vengono detenuti i ragazzi appartenenti a queste fazioni, un posto nel quale i 'mareros' aspettano il giudizio sul loro destino. Sono ragazzi molto giovani a volte tatuati dalla testa ai piedi (volto compreso) con i simboli di appartenenza alla 'pandilla', «vederli dentro a quel carcere tutti ammassati tra amache di plastica improvvisate ed escrementi è un’immagine di altissimo impatto. Li guardi negli occhi e pensi che ti fanno paura. Poi sono criminali, d’accordo, ma vivono in condizioni disumane. È stata un’esperienza talmente forte che mi ha segnato».In San Pedro Sula, Tegucigalpa, Guatemala City e San Salvador, città che fanno parte della top 10 tra le più pericolose al mondo, 'vive' la paura di girare la sera dopo il 'coprifuoco' che rende deserte e pericoloso percorrere le vie.

Però il Centro America non è solo questo. Conosce persone straordinarie e di gran cuore, come ad esempio madri che, con grande sacrificio ma altrettanto amore, allevano tre o quattro figli completamente sole e nella più profonda miseria o, ex 'sicarios' che, lasciata alle spalle una vita di crimini, aiutano giovani ragazzi a riprendere la retta via. Vede anche paesaggi incredibili: in Guatemala fa un’escursione sul Vulcano Acatenango che sovrasta la città di Antigua, un’esperienza che descrive adrenalinica perché il vulcano adiacente è attivo «sembra di essere su Marte – dice – una notte poi pioveva e c’era un temporale pazzesco, ho pensato di lasciarci le penne». In Utila, bellissima isola dell’Honduras, si immerge nel Mar dei Caraibi. In El Salvador visita El Tunco, paradiso dei surfisti.
Abbandonate quindi le zone meno tranquille attraversa il Nicaragua, la Costa Rica, Panama e arriva in Colombia, uno dei suoi Paesi preferiti per gentilezza e simpatia della gente, dove però, in un quartiere periferico di Bogotà (ex Bronx/5 Huecos), trova letteralmente ‘un altro mondo’: «la gente si droga per le strade, c’è un altissimo degrado, un vero inferno. È stata una delle esperienze più forti mai vissute, un’esperienza che mi ha fatto molto pensare». L’idea del viaggio era appunto riuscire a vedere la realtà del mondo e non solo il ‘mondo delle favole’.
Entrando poi in Ecuador, Perù, Bolivia, nel cuore del Sud America, rende omaggio alle sue origini esponendo una bandiera della sua terra (Corno di Rosazzo e Campolongo al Torre) nel deserto del sale dello Uyuni (uno dei più grandi deserti al mondo e la più grande distesa salata del pianeta, ndr).
Infine fa una tra le esperienze più belle del viaggio: entra in una miniera del Cerro Rico di Potosì, una ricchezza mineraria di oro, argento e stagno dalla quale proveniva la maggior parte dell’argento spagnolo, che è conosciuta come la ‘montagna che mangia gli uomini’ a causa dei tantissimi decessi per crolli e silicosi dei minatori che vi lavoravano, e che tuttora vi lavorano, all’interno. «C’è una leggenda che racconta che appena i minatori entrano lì dentro non credono più in Dio ma nel Tio, ossia nel diavolo, che è un tutt’uno con la montagna. Se sei buono con lui offrendogli qualche dono, ti permette di restare vivo e di estrarre i minerali». Per raggiungere l’ultima tappa, il Brasile, e vedere una delle più grandi ‘favelas' dell’America Latina a Rio de Janeiro, ha percorso in bicicletta la ‘Ruta de la muerte' in Bolivia ed ha attraversato le Ande in bus sempre ‘on the edge’. Poi è arrivata l’ora di tornare a casa...

La fine del viaggio
Tornato a Udine Marco ci dice: «Volevo solo viaggiare come un pazzo. A volte, quando sento una musica che mi richiama un Paese mi piacerebbe essere in quel Paese. Quando vedi un film, un’ambientazione, un paesaggio e pensi che vorresti essere lì... anche questo è quello che mi ha spinto a intraprendere il mio viaggio. Credo sia una cosa che capita a tutti».

La morale è dunque che con capacità e impegno si possono raggiungere grandi traguardi (ad esempio indipendenza finanziaria, apprendimento di nuove lingue, sviluppo di competenze in diversi ambiti multiculturali e internazionali, networking internazionale) e poi sì, ci si può anche fermare e godere degli sforzi fatti; perché se si vuole, ci si può permettere di prendere una pausa e vivere il proprio tempo, magari proprio quello che fa girare il mondo per conoscere ciò che c’è ‘fuori dalla porta di casa’.
Marco ora è tornato e cerca un lavoro. Ma che lavoro? Una cosa è certa, lavorare viaggiando come ha fatto non gli dispiacerebbe. E quindi ‘mai dire mai’, le ali che lo hanno portato a viaggiare attraverso i 5 continenti ed in quasi 50 Paesi potrebbero essere le stesse che lo porteranno a lavorare in qualsiasi altra parte del mondo.