25 aprile 2024
Aggiornato 02:30
Tutela dell’ambiente

Legambiente contro la nuova cava di Remanzacco

L’associazione lancia l’allarme dopo la decisione del Consiglio comunale di approvare una variante al Prgc che dà il via a un’attività estrattiva di 22 ettari sulla sponda sinistra del fiume Torre

REMANZACCO - Il Consiglio comunale di Remanzacco ha recentemente deliberato una variante al Piano regolatore, trasformando una zona agricola in zona destinata ad attività estrattive. Si tratta di 22 ettari per 1 milione e 800 mila metri cubi sulla sponda sinistra del Torre, territorio già costellato di cave, discariche e zone industriali. Questo è quanto sostenuto dal Legambiente Fvg.

Un’unica porzione di territorio, molte destinazioni d’uso
«L’idea di futuro che per la destinazione di quest’area è stata proposta negli anni ai cittadini di Remanzacco è quanto mai contraddittoria – evidenzia l’associazione ambientalista –. In pochi anni lo stesso territorio è stato pensato come parco naturale del Torre e come tale inserito nella pianificazione regionale e poi fortemente ostacolato dal mondo venatorio; poi la Provincia di Udine ha caldeggiato l’apertura di una discarica di inerti; è quindi ritornata a essere una zona agricola E4 con valenze naturalistiche (prati stabili) e paesaggistiche riconosciute con apposita variante urbanistica; ora la 'vocazione estrattiva' ritorna prepotente».

L’attacco degli ambientalisti
«Tra la cava esistente e quella che si vorrebbe realizzare – chiarisce Legambiente Fvg – c’è poi una zona, quella degli ‘scavi di S. Martino’, nella quale da oltre dieci anni si effettuano campagne di scavi archeologici che, presentati a più riprese come testimonianza dell’interesse dell’amministrazione verso la storia e l’ambiente locali, diventeranno uno ‘specchietto per le allodole’ con l’avvio della cava in progetto.
Dagli stessi attori, amministratori e cavatori
– aggiungono – è già stata gestita una cava adiacente (San Martino 1, per 850 mila metri cubi estratti) a quella oggi prevista, che non è mai stata oggetto di vero ripristino. E tuttavia si prosegue con progetti di coltivazione di una nuova cava, oggetto dell’attuale delibera, del doppio più grande, più profonda, più prossima al Torre».

Una visione miope e natica tra economia e risorse naturali
«Deliberare una variante così significativa e di così forte impatto, in assenza di determinazioni regionali di pianificazione dei fabbisogni e delle zonizzazioni delle attività estrattive – conclude Legambiente – trascurando le attività in corso di definizione sul rischio di alluvioni ed esondazioni e dell’applicazione della direttiva comunitaria 98/2008, che prevede il recupero e riutilizzo del 70% degli inerti e solo il 30% derivante da nuove estrazioni entro il 2020, esprime una visione antica e miope del rapporto fra economia e risorse naturali».