28 marzo 2024
Aggiornato 23:00
L'analisi politica

Debora Serracchiani: un pianto più di rabbia che di dolore

Tutti hanno sempre riconosciuto impegno e preparazione della presidente. Ci che è mancato è stato il senso di autocritica

UDINE - Giulio Andreotti diceva che il potere logora chi non ce l’ha. Può essere. Vero è sicuramente che il potere inebria chi lo detiene. E Serracchiani di potere ne ha, ma soprattutto ne aveva tantissimo. Gli era piovuto addosso in maniera quasi rocambolesca dopo un intervento da pasionaria a un congresso del Pd. In pochi mesi aveva bruciato tutte le tappe in un crescendo senza precedenti. Potere squisitamente politico (vice segretaria del primo partito d’Italia), potere politico-amministrativo (presidente della giunta regionale del Fvg), potere presenzialista sui media e nei salotti che contano, potere reale di scegliere i propri colonnelli e il ‘cerchio magico’.

Poteva fare la ministra negli ultimi governi
Sì, tantissimo potere che ha squadernato prima del crollo emotivo perché prima di quelle lacrime, di quel momento di comprensibile debolezza, ha ricordato in aula che avrebbe potuto fare la ministra con Monti, con Letta, con Renzi e adesso pure con Gentiloni. E ha aggiunto che avrebbe potuto ricoprire pure il ruolo di segretaria nazionale. Perché ricordare in aula queste cose? Probabilmente per sottolineare l’ingiustizia di tutti gli attacchi personali ricevuti e per rimarcare di avere dedicato alla Regione tutta se stessa, rinunciando a tutte le cose più care che aveva. Bene hanno fatto le consigliere pentastellate a ricordare alla governatrice che «tanti di noi hanno sacrificato la sfera personale per questa Regione».

Un pianto più di rabbia che di dolore
Il pianto di Serracchiani è stato più di rabbia che di dolore. La rabbia covata contro quanti non riconoscono il valore del suo impegno che evidentemente lei giudica unico nella storia della politica. Ma il problema è davvero un altro. Tutti hanno sempre giudicato Serracchiani molto positivamente sotto il profilo dell’impegno, della preparazione, della passione. Ma questo non può fare passare in second’ordine i suoi atteggiamenti spesso arroganti dentro il partito e dentro le istituzioni, i suoi modi sovente poco protocollari di trattare i vari collaboratoti, la sua smania di apparire tanto a Roma e pochissimo sul territorio, la sua sicumera figlia di quel lato del renzismo sempre avvinghiato alla presunzione della verità.

Qualche errore l’ha commesso
Sabato all’Assemblea regionale del Pd, che lei ha deciso di convocare quando ha voluto, non solo non ha parlato, ma se n’è andata prima della chiusura dei lavori senza proferire parola, salvo poi rilasciare dichiarazioni all’Ansa, dimostrando la sua pervicacia nella conduzione personalistica del Pd. Della serie: parlo quando mi va a e con chi voglio. E lo stesso ha fatto mercoledì commentando la disfatta alle amministrative. Dove lo ha fatto? Non nelle sedi del Pd, ma sulla stampa che per anni l’ha decantata giorno dopo giorno riservandole un trattamento che non ha uguali tra gli ex presidenti della Regione.

Una presidente che non si è mai messa in discussione seriamente
Sì, lacrime di rabbia più che di dolore, precedute da tante parole di autocompiacimento e autocelebrazione ma non di autocritica vera, sentita. Perché al netto del fatto che oggi chi governa è esposto a una sorta di vigliacco tiro al piccione, Serracchiani in questi suoi primi mille giorni di governo regionale non si è mai messa seriamente in discussione. Insomma, come Renzi era inebriata non soltanto dal potere ma anche dalla sicumera che questo si sarebbe consolidato e per tanto tempo. Così, come Renzi non ha mai soppesato l’ipotesi che il potere va e viene e che, soprattutto in politica, nel volgere di pochi giorni puoi essere scaraventato dalle stalle alla polvere senza apparente motivo.

Serviva una pausa di riflessione
Non sappiamo se questo è il caso di Serracchiani. Ci sentiamo però di affermare che in questi ultimi mesi, nonostante i segnali di affanno di un Pd sempre più impalpabile, lei non hai avuto l’umiltà di dire ‘fermiamoci e riflettiamo dove stiamo sbagliando’. Lo avesse fatto, forse le lacrime ci sarebbero state ugualmente, ma oltre che di rabbia anche di dolore. Diversamente, come hanno chiosato in aula le pentastellate, al di là delle lacrime, dei presunti attacchi a lei perché semplicemente donna, «tutto il resto è l’ennesima fallace personalizzazione, frutto dell’evidente crisi esistenziale e politica e degli stessi errori che le donne da secoli continuano a perpetuare contro se stessa».
Il finale del suo intervento con il consigliere azzurro, Elio De Anna che scende dall’emiciclo e le si avvicina, e lei ribatte che «non ha bisogno di un medico», è un po’ la metafora dell’uomo solo al comando che non ha mai pensato seriamente di avere bisogno degli altri.