19 aprile 2024
Aggiornato 15:30
Classici

Ritratto in Dark e Gray: a San Daniele in scena la versione di Canone Inverso

La partenza è classica, ci sono tutti: Lord Henry Wotton con le sue massime a esaltare un cinismo di criminale avvenenza. Più attempato dell'originale, dichiaratamente omosessuale, (quasi) dichiaratamente il diavolo in persona

SAN DANIELE DEL FRIULI - Vendere l'anima al diavolo in cambio di un'eterna giovinezza. La bellezza come massimo valore, valore che esclude tutto e tutti, che calpesta vite ed esistenze, che non sente ragioni se non quella dell'autoreferenzialità. La conclusione, inevitabilmente tragica, disperata, inassolvibile. Tutto questo nella storia della letteratura ha un nome e un cognome: Dorian Gray.

L'associazione culturale Canone Inverso porta in scena in quel di San Daniele del Friuli la versione del capolavoro di Oscar Wilde con un interessante accento dark. La partenza è classica, ci sono tutti: Lord Henry Wotton con le sue massime a esaltare un cinismo di criminale avvenenza. Più attempato dell'originale, dichiaratamente omosessuale, (quasi) dichiaratamente il diavolo in persona. Basil Hallward, il pittore che dipingerà il diabolico ritratto, madre creatrice del Dorian immortale, decisamente in parte nell'interpretare la sconfitta della morale contro l'estetica. E Dorian Gray, naturalmente, con il suo abbigliamento inappuntabile, sguardo perso nel vuoto, una malcelata ansia di consumare la vita. Quella degli altri.

Interessante lo stacco, temporale e mediatico, dove DG in abbigliamento casual contemporaneo attraversa il cimitero monumentale di Milano (con improbabile omaggio alla tomba di Gaber) e in un'atmosfera che ricorda i thriller dei 70's incontra un'anti-musa - incarnata dalla regista Manuela Tadini - su ritmiche di sintetica oscurità che bucano il video.

Sarà la medesima, che in veste di regista dà per scontato che il pubblico conosca perfettamente il romanzo, a comunicare al protagonista la morte per suicidio del diavolo-corruttore e la sua imminente fine. Ma il finale rimane aperto: il ritratto che invecchia al posto suo (decisamente ispirato all'Urlo di Munch) è già sparito da tempo, il protagonista digita le sue memorie su un tablet, le didascalie dei vizi capitali hanno smesso di scorrere. Insomma, tutti defunti - tranne i morti, forse. E dagli altoparlanti esplode il potente riff di un famoso pezzo dei Depeche Mode reinterpretato in un'altrettanta riuscitissima cover: il titolo è Personal Jesus. Più chiaro di così.