23 aprile 2024
Aggiornato 11:00
Dal 1 al 4 Giugno a Pordenone

The Zen Circus: tutta la violenza della ‘Terza Guerra Mondiale’ in arrivo a Pordenone

Intervista a Karim degli Zen Circus, gruppo punk rock pisano che si esibirà durante il Pop Music Festival, evento musicale che approderà a Pordenone dal primo al 4 giugno

PORDENONE – Il Circo Zen, da Pisa. Otto album (dieci se consideriamo i progetti solisti) e un Ep all’attivo, quasi quindici anni di onorata carriera e più di mille concerti. Hanno riportato lo spirito padre del folk e del punk al moderno cantautorato con Andate Tutti Affanculo (2009) un successo – vero - di pubblico e critica che li ha consacrati dopo anni di duro lavoro. Saranno proprio loro fra i protagonisti di Pop Festival, evento musicale che approderà a Pordenone dal primo al 4 giugno.

Il vostro ultimo album, ‘La Terza Guerra Mondiale’, è una forte invettiva alla società, pervaso da un senso di apocalisse quasi imminente e necessaria. C’è ancora speranza per voi?
Premetto che nell’album c’è molta ironia. Certo c’è un grande cinismo, ma è tutto fuorché un album nichilista. Il fatto è che noi, intesi come europei, non possiamo lamentarci, non facciamo parte di quella parte del mondo che sa cosa sia davvero la sofferenza. Questa ‘apocalisse’ o senso di distruzione, che sbandieriamo continuamente sui social, non sappiamo davvero che cosa siano. Siamo in qualche modo degli eletti e questo spesso non ci permette di capire la vera distruzione che sta avvenendo nel mondo.  Occorre che vi sia una presa di coscienza molto più forte da parte di tutti noi, così da poter fare qualcosa in più. La speranza, ovviamente, esiste, anche se siamo allo sbaraglio e completamente alienati dalla realtà. Occorre che ci sia un punto di rottura, che un anello di questa catena venga a mancare.

Qualcosa che ha a che fare anche con i social immagino.
Si, soprattutto. I social sono stati una grande rivoluzione tecnologica che però ci ha sommerso, investito letteralmente, che non sappiamo più controllare e che è entrata a pieno titolo nella nostra vita collettiva. È diventata la giostra per eccellenza dell’ego, dove questi ‘Doppelgänger’ - copie virtuali della nostra vita che ci siamo creati - ci si stanno torcendo contro. La corsa sfrenata di questa giostra prima o poi si fermerà, ci sarà quel punto di rottura, e impareremo a controllarla. Sono un darwiniano convinto, credo che l’uomo possa adattarsi a qualsiasi cosa.

Nell’album fate dei riferimenti al concetto di ‘rivoluzione’. In un’era in cui tutto può diventare un ‘trend’ attraverso i social. Secondo voi è ancora possibile essere rivoluzionari oggi?
È difficile parlare di rivoluzione oggi, ce l’hanno tolta da sotto gli occhi. Sono parecchio disilluso riguardo questa questione, non credo proprio nel termine ‘rivoluzione’, proprio perché i social l’hanno svuotato del suo vero significato. Lo spirito rivoluzionario ci può essere per esempio quando avvengono dei colpi di genio nella tecnologia oppure nella scelta di distaccarsi totalmente da questo mondo virtuale, decidere di non esistere più in quella ‘dimensione’.

Una dimensione che ha distanziato l’uomo dalla realtà e dalla natura. Come lo vivete voi che ne avete parlato anche nell’album precedente?
Per noi resta un tratto fondamentale, visto che di base condividiamo il fatto di provenire da realtà provinciali. Io ho un forte legame con la mia terra d’origine, la Sardegna, dove torno appena possibile. Avvertiamo il bisogno di distaccarci dalla realtà, intesa come la realtà quotidiana che viviamo quando ci spostiamo in grandi città e dobbiamo rimanere sempre ‘connessi’. Distaccarsi in tal senso è la premessa per capire poi meglio la realtà che ci circonda.

Pensate che il mondo della musica debba avere un ruolo nel lanciare messaggi di accezione politica come quello ambientale?
Diciamo che cerchiamo sempre di discernere la musica dalla politica. Mandare un messaggio ambientalista e di impegno comunitario oggi risulta molto difficile proprio perché viviamo in un mondo sempre più individualista. Stimiamo molto, per esempio, i Radiohead che lo fanno, sono molto pragmatici e tengono fede al loro intento.

A proposito di riferimenti musicali, quali sono quelli a cui maggiormente vi ispirate?
Per questo disco lo è stato il power-pop per eccellenza, con l’accezione americana. Poi il nostro sostrato musicale si basa essenzialmente sul punk rock in generale e la scena dell’indie americano anni ‘80. Di certo possiamo dire che uno dei nostri massimi riferimenti sono i Ramones, soprattutto da un punto di vista ideologico. Qui in Italia, ovviamente tutta la scena del grande Ducato Hardcore toscano.

E con la scena musicale contemporanea italiana come vi rapportate? Soprattutto ora che l’hip-hop domina la scena.
C’è da dire che il rock sta scendendo a livello mondiale e questo sta accadendo anche in Italia. Quando è uscito l’album non pensavamo di raccogliere un consenso così ampio, anche perché è il disco con meno pezzi acustici in assoluto. Per cui siamo davvero contenti che il nostro lavoro sia stato capito e apprezzato in un contesto che oggettivamente ci va contro. Alla fine i generi musicali sanno essere lo specchio della società e quindi non ci sorprendiamo se ora va per la maggiore l’hip-hop.

Il 4 giugno sarete presenti al Pop Music Festival a Pordenone. Una riflessione sul concetto di ‘Pop’.
Spesso ci si rivolge a questo concetto con un’accezione negativa, ma in realtà non lo è per nulla. Per noi è il riuscire a creare una dimensione comunicativa dinamica che sappia arrivare al grande pubblico, che diventi accessibile e, da musicisti, crediamo che la cosa più difficile sia proprio scrivere una canzone pop! Spesso questo concetto viene associato alla musica mainstream, ma in realtà il significato è molto più profondo. Sicuramente il nostro disco più pop è stato ‘Doctor Seduction’ del 2004.

Scritto da Laura Dal Farra