26 aprile 2024
Aggiornato 02:30
La proposta

Gigli prosegue nella sua 'battaglia' contro l'Inno: "Meglio O sole mio"

Il parlamentare è convinto che "un’operazione verità attorno al nostro Inno stimolerebbe la rinascita di quell’orgoglio nazionale che dà forza e coesione ai popoli nei momenti difficili, senza peraltro evocare né la morte né la corte"

FVG - «Non volevo mettermi di traverso, ma segnalare alcune incongruenze. Diversamente se avessi votato contro in commissione la vicenda sarebbe finita in aula. Ripeto, non sono un don Chisciotte. E so che l’inno di Mameli fa parte della mitologia collettiva, dei cosiddetti miti fondanti. Ma non per questo rinuncio a lasciare a futura memoria alcune considerazioni». Il parlamentare friulano Gian Luigi Gigli (Des-Cd) non rinnega le sue dichiarazioni che hanno scatenato commenti al vetriolo e che sono rimbalzate su tutti i media nazionali. Oggi ha reso noto il documento, consegnato in commissione, con il quale articola il suo disappunto per l’inno di Mameli, che, precisa, «non è un caso sia rimasto per 70 anni 'provvisorio', ma si sa che in Italia non vi è nulla di più stabile del precariato»«Ecco, se oggi fosse proposto 'O sole mio' sarei entusiasta – dice ancora – e mi alzerei in piedi a cantarla, ma questa marcetta non riesco proprio a sentirla e tantomeno a cantarla». Gigli aggiunge che fu il presidente Ciampi a definirla marcetta, ma riesumò quell’Inno «scandalizzato dal fatto che lo conoscessero neppure i giocatori della Nazionale rimasti a bocca chiusa durante i mondiali del 1998». Ma Gigli va oltre e dice di contestare l’Inno per due ordini di motivi: estetico e storico.

Le osservazioni sul piano estetico
Sul piano estetico, Gigli ritiene che un Inno dovrebbe «caratterizzarsi per la solennità della musica e per l’elevato spessore poetico delle parole». E a proposito cita alcuni inni dell’Italia pre-unitaria come La Serbidiola del Regno Lombardo Veneto, trasposizione italiana dell’Inno imperiale asburgico, composto da Franz Joseph Haydn, l’Inno al Re divenuto inno ufficiale del regno delle Due Sicilie, mentre nello stato del Vaticano è ancora in vigore la Marcia Pontificia di Charles Gounod. Insomma, non è «necessario che il musicista sia famoso, ma l’Inno dovrebbe sempre evocare una grande suggestione ed essere dotato di maestosità come l’Inno sardo composto da un oscuro Mariano Garau che è stato ancora suonato al Quirinale il 28 aprile 1992, quando Cossiga lasciò il Palazzo». Nulla di tutto questo, affonda Gigli, può essere detto dell’Inno di Mameli, che lui boccia sia per la «musichetta» sia per le parole, «frutto della retorica patriottarda risorgimentale», con una prima strofa poco leggibile, una seconda più leggibile ma che «necessita di un sostegno psicologico per quanto segnata dalla depressione e una terza segnata dalla confusione teologica che tuttavia non nasconde i suoi istinti guerrafondai».

Ci sono anche inesattezze di tipo storico
Storicamente, argomenta ancora il parlamentare, non è appropriato definirlo di Mameli. «Esso andrebbe casomai – scrive ancora Gigli – definito l’Inno di Michele Novaro, cioè il nome dell’autore della musica e non delle parole com’è consuetudine: sarebbe come dire non nl’Aida di Verdi ma di Ghislanzoni». A questo punto Gigli, con una lunga disquisizione di carattere storico arriva a sostenere che «è altamente probabile che il cosiddetto Inno di Mameli non sia stato scritto da Mameli. Pur rifuggendo da ogni istinto nazionalista, Gigli si dice poi favorevole a un inno nazionale che dovrebbe però esprimere «il sentire di un popolo, esprimere identità. Il nostro è invece l’inno di un moto unitario nato male, fuori da ogni moto di popolo, in vista di un’unità che esisteva già dal punto di vista geografico, culturale e religioso, che esisteva in parte, sebbene molto meno, anche dal punto di vista linguistico, ma che per realizzarsi davvero dal punto di vista sentimentale ebbe bisogno di 600mila morti e di un milione di invalidi diventati fratelli nelle trincee della prima guerra mondiale…»«Cambiamolo dunque», è il suo auspicio. Cambiamo cioè un Inno che come il Tricolore più che per gli sforzi di Ciampi, sostiene, si è imposto per il tifo calcistico, e nemmeno per tutte le partite. «Potremmo attingere – chiosa – dal ricco patrimonio musicale del nostro popolo, non manca certo la musica bella in Italia…Sono convinto che un’operazione verità attorno al nostro Inno stimolerebbe la rinascita di quell’orgoglio nazionale che dà forza e coesione ai popoli nei momenti difficili, senza peraltro evocare né la morte né la corte». Da qui, l’invito ai colleghi parlamentari in nome del loro «buon gusto. Non oltraggiamo ulteriormente la bellezza. L’Italia è il Paese della bellezza. Ed è solo la Bellezza che salverà il mondo, direbbe il grande Dostojevski»