28 marzo 2024
Aggiornato 11:30
Dal 24 al 27 gennaio

Le prénom conquista i teatri della regione

Il tour nei teatri della regione dell'opera di Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière è un successo in termini di presenze

FVG - "Chiameremo nostro figlio Adolf!" - silenzio, gelo, incredulità. E poi si scatena l'inferno. Battute, altarini degli anni dell'adolescenza, velate accuse di omosessualità, rapporti interpersonali proibiti, idee politiche da canzonare, disprezzo per le scelte di vita altrui. E' questa la frase scandalo che trasforma una classica cena tra amici che dovrebbe essere di conviviale routine in una resa dei conti di affari (privati e non) accumulati da anni a specchio di una classe con le sue qualità (poche a dir il vero) e i suoi difetti, parecchi.

Il tour nei teatri della regione dell'opera di Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière è un successo in termini di presenze. Le pellicole tratte da questa originale commedia sulla media borghesia francese certamente hanno raggiunto una vastità di pubblico che difficilmente può far a meno di identificarsi con i protagonisti. Ci sono tutti: il professore universitario radical-chic, la donna in carriera, la maestra di scuola frustrata, l'eterno single con velleità d'artista ma soprattutto, nel panni dello yuppie nonché di narratore, c'è Aldo Ottobrino, vero mattatore del quintetto!

Così nel miscuglio sconclusionato di offese ad effetto domino che feriscono tutti - nessuno escluso - nasce il ritratto di una generazione X poco credibile, dove ognuno ha qualche segreto da nascondere o da rinfacciare. Rappresentato a Parigi nel 2010, Le prénom, ottenne sei nomination al Prix Molièredell’anno seguente e fu adattato per il grande schermo dai suoi stessi autori. E come anticipavamo, qualche anno dopo la nostra Francesca Archibugi ne fece un nuovo adattamento cinematografico con il titolo significativo «Il nome del figlio»

E allora scivola via un'ora e mezza di divertimento dissacrante, di comica quanto caustica critica della società con tutti i suoi cliché sapientemente shakerati con disinvoltura e sputati in faccia al momento opportuno allo spettatore. La tolleranza di facciata che un attimo dopo si trasforma in fanatismo, un'apparente parità tra i sessi che si rivela sterile, ostentazione di cultura versus ostentazione di denaro. Si ride con piacere e con catartico distacco. Non ci sono pause. Non ci sono tempi morti. E' un crescendo che mescola anche gli ingredienti del malinteso e di una certa ingenuità a preludio finale dove si contano morti e feriti, altrettanto preludio ad un post-finale narrativo a lieto fine, dove il "buon senso" della società del compromesso e del sotterfugio rimetterà le cose a posto.

E poi, vissero felici e contenti... veramente?!