20 aprile 2024
Aggiornato 16:00
Letteratura

'Le tigri dalle gabbie invisibili': presentata l’opera prima di Michele Guerra

Michele Guerra è uno showman dell’alternativo, sa andare al punto della questione senza mai esser retorico

UDINE - Partiamo con la foto censurata da un comune del pordenonese. Un profugo con delle ferite al braccio pare non sia un’immagine gradita: la mostra fotografica di Paolo Youssef annessa alla presentazione del romanzo d’esordio di Michele Guerra non si fanno.

 Qualche settimana dopo, e una certa polemica di mezzo,  grande attesa e curiosità ma nessun problema in quel di Udine dove - nella serata di giovedì 4 ottobre presso il Circolo Arci Nuovi Orizzonti - l’autore esordisce con il fatto che non si autospoilererà, se mi passate il neologismo, e che il suo racconto sarà esclusivamente volto a dipingere il contesto storico sociale e geografico in cui è maturata l’idea.



Passano alle sue spalle le diapositive del bravissimo (e sopracitato) Paolo Youssef che richiamano una certa iconografia dell'arte rinascimentale. Sfila inesorabile un percorso immaginale che va dalla mia adolescenza (primi anni ‘90) ai giorni nostri. La madre di tutte le processioni di profughi - quella di Vukovar - dove le vittime non riescono neppure ad odiare i carnefici che anticipano le caserme del nostro Friuli  (una delle regioni più militarizzate d’Europa) per la prima volta utilizzate con un senso nell’accoglienza durante la guerra nell’ex Jugoslavia. I confini, che non abbiamo più da anni e che abbiamo rimosso dopo il 1989 spostando l'inizio della valle dell'Eden qualche centinaio di chilometri più a sud ; e poi una guerra mascherata da pulizia etnica per fini ancor meno nobili, se vogliamo.

Un salto ai giorni nostri ed alcune morti dalle dinamiche poco chiare fanno virare il racconto verso il noir; ancora immagini impietose a braccetto con descrizioni graffianti: le manifestazioni sotto il CPT di Gradisca d'Isonzo e quelle scritte Nunca mas - mai più - nevermore - in tutte le lingue del mondo. Traspare un grande amore per la propria terra, si cita l’Isonzo di Ungaretti e Franco Basaglia, unico vero rivoluzionario, unico vero liberatore.

E colpisce che pur parlando di temi devastanti dal punto di vista emotivo l’autore rimane lucido sobrio impassibile ma, è evidente, il suo è un «distacco» di chi ha vissuto in prima persona quelle situazioni, di chi le conosce, di chi le ha capite, digerite e cerca di far qualcosa pur nel suo piccolo per cambiarle.



‘Piccoli gesti di anticonformismo’ con Nietzsche ad esortazione di chiusura. Michele Guerra è uno showman dell’alternativo - occhi vivissimi ed un volto di quelli che non si scordano - sa andare al punto della questione senza mai esser retorico come la maggior parte di coloro i quali intraprendono la strada della narrazione di certe tematiche sociali, strettamente attuali ma troppo spesso raccontate con quella demagogia che porta l'ascoltatore a non entrare in empatia con l'argomento bensì a farlo distaccare.

Al termine della presentazione mi racconta in dettaglio di come sia nata l’idea del romanzo «cercando a ritroso un fil rouge molto semplice: avevo iniziato ad occuparmi di profughi esattamente vent’anni prima, nel 1996, quando la guerra in Bosnia era appena terminata. Distribuivo pacchi pesantissimi di aiuti umanitari tra Zagabria e Bihac (in Bosnia) insieme ai membri di una microscopica associazione umanitaria di Pordenone.

Dopo vent’anni, quindi, ero ancora alle prese con le stesse persone, ma in un mondo che era completamente cambiato - nella comunicazione e nella percezione degli eventi».

E quando gli chiedo del perchè del suo lavoro mi risponde candidamente «il senso ultimo è la continuità storica di questa condizione di precarietà - che negli anni ’90 rappresentava la coscienza marcia dell’Europa che applaudiva la caduta del Muro, e ai nostri giorni incarna sempre di più l’involuzione autoritaria di chi non riuscendo più a fermare le guerre, ha finito per somigliare loro». E l’11 ottobre si replica alla Libreria Friuli di Udine.