29 marzo 2024
Aggiornato 08:00
Teatro

Tremila aspiranti “capitani” per la tre giorni con L’attimo fuggente

Successo strepitoso per uno spettacolo che non conosce il passare del tempo. O quasi

UDINE - Millenovecentottantanove: crolla il muro di Berlino, Reagan & Gorbaciov stanno disarmando il mondo, in Sudafrica ci sono segnali che verrà liberato Mandela, al cinema esce l’Attimo Fuggente. Ovvero - tutto è possibile.

«Ed era così che nuovi Dei nascevano»: il professor Keating diventava il modello di riferimento di una generazione di adolescenti, di professori, e infine anche di genitori; Peter Weir acclamato come regista dell’anno in un mondo che spesso lo avevo snobbato e sopra-tutti Robin Williams, il quale entrava di diritto nel gotha di Hollywood dopo anni di gavetta nano-nano.
E poi arrivava il tormentone di «capitano, mio capitano!».

Fedele, anzi fedelissima alla sceneggiatura del film, la proposta teatrale che apre la stagione di prosa del Giovanni da Udine.
E’ la serata in cui gli adolescenti di allora portano i propri figli (adolescenti di oggi) ad un rito di passaggio della vita che reputano di buon auspicio.
Scenografia minimal a sfondo di utopia disneyana senza lieto fine, scorrono via veloci e piuttosto spensierate un paio di ore in compagnia del bello, bravo e piacione Ettore Bassi, nella parte ovviamente di quello che è diventato l’insegnante per antonomasia.

L’aforismario della setta dei poeti estinti con le didascalie di Whitman, Thoreau, Byron, Shelley: i migliori!
Una parete che delinea perfettamente il confine tra vecchio e nuovo, progressista e retrogrado, bene e male. Vite di quieta disperazione vs vita nei boschi, rigida austerità vs gli stacchi con l’inno alla gioia, la grotta della rigenerazione primordiale contro la tetraggine scolastica.

Marco Iacomelli alla regia, sceglie un compito basico, minimalista, lineare, per un risultato di indubbio successo: quasi tremila presenze infatti nell’arco dei tre giorni di programmazione ed un mare di applausi ogni sera. Stacchetti decisamente cinematografici, passaggi di scena con ombre che rendono perfettamente l’atmosfera, spettatori incollati alla poltroncina benchè ognuno sappia già il come andrà a finire.

Cast di primo livello nel quale - oggi come allora - fa specie l’entusiasmo con cui i giovani interpretano loro stessi, oggi come allora quasi fotocopie estetiche degli eroi del college più esclusivo degli Stati Uniti D’America.

Messaggio sempre stimolante ma che ad un trentennio di distanza suona un po’anacronistico. Nell’epoca che è stata definita (tra le tante maniere in cui è stata definita) del ribaltamento dei valori viene il sospetto che oggigiorno la parte dei ribelli sarebbe imputabile a quelli che allora erano i conservatori e viceversa. 
L’interrogativo in sospeso rimane se Tradizione, Onore, Disciplina, Eccellenza e non un superficiale e banalotto esser se stessi dell’era del narcisis - non calzerebbe meglio al carpe diem di oggi.
 
La Dead poet society che ieri spaccava, oggi è spettacolo rassicurante per il pubblico, soprattutto per le famiglie. E tutti i commenti raccolti nel foyer a fine spettacolo sembrano far cassa di risonanza a questa tesi dove il rapporto con l’autorità proposto pare in diretta on stage dall’età della pietra.

Il padre-padrone che si spacca la schiena di lavoro per dare una possibilità al proprio figlio «che io nemmeno sognavo!» ed il direttore dell’istituto che indica il valore di Shakespeare al primo posto in un diagramma con ascisse e ordinate devono esser apparsi ai più giovani come prodotti di mera fantasia.

Rimane però un unico punto fermo ovvero che il potente spettacolo continua e continuerà, e che ognuno di noi può contribuire con un verso prima di diventare cibo per vermi, come insegna il Maestro. E per chi volesse ancora qualche dritta dal professor Keating l’appuntamento è per il 18 dicembre in quel di Cormons.